Chi sei? Dove vivi?

Mi chiamo Giacomo Miracola sono nato a Messina nel 1968 e vivo e lavoro a Capo d’Orlando.

 

Come è iniziata questa passione?

È iniziata in un collegio e poi si è trasformata in un lavoro.

 

L’incisione, tecnica antichissima ma che tutt’oggi resta abbastanza misteriosa. Come spiegheresti cos’è, in poche parole, a chi non la conosce?

L’incisione è una tecnica artistica che nasce e fiorisce per la sua possibilità di moltiplicare le immagini, prima dell’avvento della stampa con caratteri mobili. Solo a partire dal ‘500 l’incisione è stata applicata alla preparazione di matrici per la stampa, prima la xilografia, impiegata nella divulgazione di immagini popolari e nell’illustrazione di libri stampati, rispetto alla calcografia invece utilizzata per la ricerca grafica dell’artista, poi le varie tecniche calcografiche, bulino, mezzotinto, etc. fino alla litografia.

“Il multiplo di stampa” per me è una realtà esterna al soggetto, che si muove su due piani contrastanti ad un tempo: nel momento in cui si mostra completa, si rivela come qualcosa che non è più di qui, di questo tempo, ma appartenente, se così posso definirlo, a un inaccessibile altrove.

Un’incisione può quindi assumere nel suo significato di “multiplo” quel medium che con le sue specifiche caratteristiche tenta sia di riprodurre quei fenomeni naturali quali l’apparizione di un paesaggio, di uomini o di un oggetto che noi quotidianamente immortaliamo tramite la fotografia, sia qualsiasi altro stato dell’animo o del pensiero di un uomo; la sua lenta preparazione e costruzione del disegno sulla lastra e la sua successiva trasformazione in segno richiedono tempo, sacrificio e abnegazione. Un rituale che è magico!

Quanto tempo impieghi a realizzare un’opera?
 
Può essere un giorno, un mese, un anno. Dipende dal tema e dalla tecnica utilizzata.

Guardando i tuoi lavori si notano spesso soggetti mitologici o legati al mondo marino. Quali sono le tematiche che prediligi e perché?


Il mio lavoro negli ultimi cinque anni utilizza argomenti e aspetti del contemporaneo ispirandosi alle vicende storiche delle migrazioni che nel corso dei secoli si sono stratificate sul nostro territorio, e che fino ad oggi lasciano un filo scoperto che mi è possibile intrecciare nelle trame di una lastra di rame.

Il mio lavoro assorbe e trasfigura varie forme iconografiche delle culture del passato, oppure crea mappe immaginifiche, de-contestualizzate ai luoghi e ai soggetti che affronto. Cerco come testimone del mio tempo di generare nuovi e imprevedibili cicli di pensieri e una personale riflessione, fornendo un’opportunità sperimentale, a chi interessa guardare il mio lavoro, di sfidare la propria percezione, le proprie ipotesi. Il mio attuale progetto “Questa è l’ultima cosa che ho” e come cosa intendo un pesce, una casa, il pianeta in cui viviamo…etc., ha una visione critica delle questioni ambientali, sociali, politiche e culturali attuali. Chi utilizza questo medium, può farsi veramente portatore sano di arte pubblica, capace di disturbare e testimoniare con una iconografia passata, di raccontare il presente.

Che influenza ha il territorio sul tuo lavoro?

Penso di averti già risposto.

Qual è, secondo te, la posizione attuale dell’incisione nel sistema dell’arte contemporanea, come è cambiata nel tempo e quali sono le sue prospettive?

La grafica d’arte in Italia oggi ha un profilo basso nel grande sistema dell’arte contemporanea; è ancora definita un’arte minore a cui parecchi artisti delegano quasi tutti i loro progetti di grafica. Ad eccezione di alcune associazioni come l’Associazione Incisori Contemporanei che è impegnata a livello nazionale e internazionale nella divulgazione della stampa d’arte, alcune stamperie storiche (ne sono rimaste veramente poche) e dell’unico premio importante in Italia, “Il Premio Leonardo Sciascia”

che tengono ancora alta la tradizione storica dell’ incisione italiana, non vedo un futuro roseo, anche se sono convinto che in questo particolare momento storico che attraversiamo, i cambiamenti e gli orientamenti in atto nel tessuto culturale del nostro paese possono prendere altre direzioni. Ma questo dipenderà sempre dalla capacità degli incisori stessi ad essere sempre più sperimentali ed innovativi nel loro lavoro, non trascurando mai quelli che sole le basi fondamentali di questa tecnica.

Parliamo di quotazioni. Quanto vale un’incisione? E a cosa è dovuto il suo prezzo?

Su questo argomento ti ha già risposto un grande incisore come Sandro Bracchitta nella sua bella intervista.

Oltre a essere un artista, sei anche un curatore affermato: come valuti la situazione in Sicilia riguardo al settore artistico? Qual è il problema che riscontri più spesso?

Affermato è un aggettivo forte nel mio caso, è un ruolo che ho cominciato a coprire e a scoprire nel 2011 quando fui chiamato a riordinare la collezione di ” Vita e paesaggio” della pinacoteca di Capo d’Orlando, un incarico importante, ai più semisconosciuto di un luogo con una grande storia che poi si è trasformato nello Spazio Loc grazie anche al contributo di importanti curatori ed artisti nazionali e stranieri.
Per me oggi molti musei siciliani sia pubblici che privati sostengono progetti mirati ad una maggiore visibilità pubblica, ma questo lavoro viene poi riconosciuto in molti casi solo in termini di rendimento monetario, in maniera superficiale, non sulla base di quello che dovrebbero essere altri gli obbiettivi concreti da perseguire, affiancando all’attività di promozione e valorizzazione delle collezioni, una crescita partecipativa e culturale di tutti i territori delle province attraverso la riscoperta e il confronto con le parti e le sedi meno “elitarie” del mondo dell’arte contemporanea siciliana.

Qual è il lavoro di cui vai più fiero?
Non so. Tutti e a volte nessuno.

Cosa prospetti per la tua arte? 

Non so, ho sempre vissuto il mio lavoro di giorno in giorno, non ho mai programmato nulla; è un lavoro variabile e disomogeneo come il mio umore. Anzi forse sono proprio queste caratteristiche a renderlo vivo e adatto ad una produzione di immagini con una buona qualità, che riesce ancora a farmi sopravvivere.

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