Chi sei?
 
Sono Oriana. Quando salgo su un palcoscenico divento Oriana Civile. Sono una cantante e un’appassionata studiosa di musica di tradizione orale siciliana, per cui la studio (non solo dal punto di vista musicologico, ma anche dal punto di vista etnoantropologico), la interpreto e la ripropongo al mio pubblico che, per mia libera scelta, è per lo più siciliano. Sono convinta infatti che i siciliani, prima e più di tutti gli altri, abbiano la necessità di conoscere le loro radici, troppo spesso nascoste e manipolate da contaminazioni e folklorismi. Sono anche un’autrice, una cantautrice, un direttore artistico e una ricamatrice. Quante etichette…
Dove vivi?
 
Vivo a Naso (ME), la mia base operativa da cui svolgo tutte le attività che mi portano in giro per la Sicilia e oltre.
 
Com’è iniziata questa passione?
 
La mia passione per la musica è iniziata nella culla, credo, e onestamente non ricordo come. È sempre stata con me. Credo faccia parte di me.
Ascoltando la tua voce non si può non pensare alla grande Rosa Balistreri. Come è avvenuta la tua scelta di dedicarti alla musica tradizionale siciliana?
 
Vi ringrazio per il complimento, anche se credo che io e Rosa Balistreri siamo due mondi paralleli. È un’icona talmente importante che io non mi sento di poter essere accostata a lei, anche se questo accostamento viene fatto più di quanto io non voglia; credo perché Rosa Balistreri è l’unica artista “popolare” conosciuta dal “grande pubblico” più che per una reale somiglianza tra le nostre voci.
La mia passione per la musica di tradizione orale siciliana è nata all’Univeristà di Palermo, frequentando il Laboratorio di Etnomusicologia della Facoltà di Discipline della Musica, condotto dal Prof. Girolamo Garofalo, detto Gigi. Era il 2004 e allora ho realizzato che la mia idea di “musica popolare” era totalmente distorta;
 in seguito mi sono resa conto che tutto il popolo siciliano ha una concezione della propria identità musicale completamente sballata, da quello che durante il fascismo si è deliberatamente e colpevolmente sostituito alla cultura popolare: il folklorismo regionale e i conseguenti gruppi folkloristici. Canzoni d’autore spacciate per tradizionali, canti tradizionali completamente dimenticati e/o sostituiti da ritornelli più orecchiabili e allegri. La tradizione siciliana non ha nulla di allegro, perché il popolo siciliano è sempre stato sottomesso a qualcuno (a un padrone, a un mafioso, a una dominazione), ha sempre sofferto e questo si riflette inevitabilmente anche nella musica che è di una bellezza, di una profondità e di una intimità commoventi.
Vedendo i tuoi spettacoli si nota una forte componente teatrale. Come nascono e come dialogano la musica e il teatro tra di loro?
 
Nel mio caso, il dialogo tra musica e teatro nasce in maniera spontanea. Parto sempre dalla musica, dalle canzoni, per poi approdare al racconto. Ogni canto, che sia tradizionale o meno, racconta una storia; a me piace fantasticarci sopra. Anche quando scrivo funziona così; ho sempre una storia in testa che finirà su un foglio, rimata o no; poi diventerà musica o racconto. Le mie canzoni sono ricche di immagini che potrebbero essere facilmente drammatizzate. Credo che la teatralità sia insita in me e nel materiale che tratto. Fondamentalmente mi piace raccontare storie, perché mi piace ascoltarle.
Che influenza ha il territorio sul tuo lavoro?
 
Per me il territorio è fondamentale. Ho vissuto 12 anni a Palermo e sono ritornata a Naso perché avevo bisogno di sentire nuovamente di appartenere ad una comunità; avevo perso il senso di appartenenza che solo a casa si sente e che spesso nelle città è inesistente. Io vivo e opero molto nel territorio e per il territorio mi spendo (e spendo) tantissimo. È una specie di amore-odio. Sono convinta che questi tempi bui e confusi possono risollevarsi solo partendo dai piccoli centri e dalle piccole cose, ma mi rendo conto, vivendoci, che è di una difficoltà pazzesca. 
Vivo in uno dei posti più belli del mondo, ma è come se tutto intorno fosse morto; come se la gente non capisse la fortuna che ha a vivere in un territorio come il nostro, i Nebrodi, con il mare e la montagna a due passi e le Isole Eolie a due bracciate. Qui tutto diventa molto più difficile. Ma io ci credo e continuo a crederci e a lavorare per far sì che la gente venga da noi a fare quello che potrebbe fare altrove. Per questo motivo ho deciso di occuparmi di Teatro e nello specifico del Teatro Vittorio Alfieri di Naso, un gioiello ottocentesco che è arrivato fino a noi. Abbiamo il dovere di farlo funzionare al meglio, se non per i nostri figli disinteressati, per i nostri padri tanto impegnati e appassionati. È da due anni, infatti, che curo una stagione teatrale che ho chiamato “Il Teatro siamo Noi” proprio per responsabilizzare e far sentire protagonista anche il pubblico. Già comincio a vedere i frutti di un impegno appassionato, libero e un tantino folle.
Qual è il lavoro di cui vai più fiera?
 
Devo dire che tutti i miei lavori mi rendono fiera e orgogliosa. La musica per un verso. Il teatro per un altro. La direzione artistica per altre ragioni ancora. Forse ciò che mi rende più fiera (che poi è ciò che mi fa apprezzare dal pubblico) è mettere tutta la mia passione in quello che faccio e investire tutta la mia conoscenza e il mio sapere, che sono sempre in crescita. Spero non si fermi mai, la mia voglia di imparare.
Come valuti la situazione in Sicilia riguardo al settore artistico?
 
La Sicilia è una terra in continuo fermento. L’ho sempre saputo, ma adesso che mi occupo del Teatro Alfieri di Naso ho scoperto che in Sicilia c’è una produzione artistica enorme, vitale e interessantissima. 
Chi fa Arte in questa Terra può considerarsi un eroe, perché purtroppo ancora la società è ben lontana dal considerare la produzione artistica un vero e proprio lavoro. Io ho una partita IVA, pago le tasse e il commercialista, contribuisco all’economia del nostro Paese molto più di altri “professionisti” che lavorano 365 giorni all’anno in nero (percependo magari il reddito di cittadinanza), ma ancora, quando rispondo che faccio la musicista, mi sento dire: “E di lavoro?”. Ecco, nel nostro Paese gli artisti sono molto più avanti del sistema che dovrebbe riconoscerli e tutelarli. E pensare che viviamo in un una terra in cui da migliaia di anni l’Arte è il fondamento dell’Umanità.
Cosa prospetti per la tua arte?
 
Io sono tranquilla, per quanto si possa vivere tranquilli nella precarietà dei nostri tempi e dei nostri luoghi. Sono una persona fortunata: sono riuscita a fare della mia passione il mio lavoro, ricevo ogni giorno tanti attestati di stima da più parti, creo, scopro ogni giorno nuove realtà e le faccio scoprire ad un pubblico nuovo, vivo con passione… Poi, se in futuro dovesse mancarmi una prospettiva economica, sono in grado di produrmi il cibo, venendo da una famiglia che ha sempre saputo lavorare la terra. Male che vada mi metto a coltivare ortaggi e li vendo, a km zero, al mercato del contadino. Cantando. Ma intanto in prospettiva c’è la produzione del mio nuovo disco, il primo di inediti, il nuovo progetto sui canti polivocali della tradizione siciliana insieme a Maura Guerrera e a la Cité de la Musique di Marsiglia, e l’immancabile continua scoperta del nostro patrimonio, che è bene immateriale dell’Umanità.
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